Quando mi è stato chiesto di poter fare
formazione a dei giovani italiani e immigrati di seconda generazione in materia
di orientamento al lavoro il mio primo pensiero è stato:
ma sai a chi lo stai chiedendo? A me? Precaria, collaboratrice a progetto, in costante ricerca di lavoro, che alla soglia dei
trentanni non ha smesso di credere in parole come SICUREZZA E STABILITA'. E per
fare cosa?
Orientare al LAVORO! Uh, tiro un sospiro di
sollievo. Allora esiste ancora il LAVORO!
Ormai ero quasi convinta che questo
vocabolo fosse caduto in disuso sostituito da termini più moderni e “globali”
come COLLABORAZIONE, WORK EXPERIENCE, STAGE, …
E poi dovrei parlare di lavoro a chi?
Immigrati di seconda generazione? E questa nuova categoria da dove salta fuori?
Boooh. Dico alla coordinatrice che ci avrei pensato un po' su e riaggancio il
telefono. Continuo la mia attività di mamma rimproverando il nano, che nel
frattempo ha avuto un attacco di arte estrema, riducendo il muro della sala ad
un capolavoro di astrazione con segnature in carboncino di diverse tonalità.
Ripenso alla proposta di collaborazione che
mi è stata fatta: ORIENTARE AL LAVORO IMMIGRATI DI 2 GENERAZIONE.
Provo a capire se sono in grado di accettare questa proposta nei miei soliti viaggi suburbani con il "Suzuki catoricio": IBandabardò invadono i miei pensieri lavorativi:
Provo a capire se sono in grado di accettare questa proposta nei miei soliti viaggi suburbani con il "Suzuki catoricio": IBandabardò invadono i miei pensieri lavorativi:
E così inizia a passarmi per la testa che
forse oggi più che orientare al lavoro serve DIS-orientare AL LAVORO, ovvero educare
a sostenere le diversità all’interno di un mondo del lavoro che appare
LIQUEFATTO . Credo che gli immigrati di seconda generazione in materia di
diversità ne sappiano qualcosa. E anche io ho una certa esperienza in materia di liquefazioni lavorative.
Chiamo la responsabile progetto. “accetto!”
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